I falsi miti sulla storia delle birre IPA

E’ grazie a Martin Cornell, premiato giornalista, membro fondatore della Gilda britannica degli scrittori birrari e già vincitore del titolo di “Beer Writer” dell’anno, che sono stati resi noti i falsi miti e dei luoghi comuni sulla storia della birra artigianale IPA.

Birre da Manicomio

Nonostante i più siano legati alla leggenda e agli aspetti più romantici e avventurosi dell’origine delle IPA, è necessario fare chiarezza su alcuni aspetti.

Falsi miti sulle birre IPA

La storia comune sostiene che, vista la difficoltà di esportare birre in India per i processi di deterioramento dovuti alla durata e alla alte temperature del viaggio, a cavallo tra Settecento e Ottocento, il produttore londinese, George Hodgson della Bow Brewery di Londra, prese a brassare una Pale Ale più alcolica e luppolata e quindi più resistente alle intemperie, battezzandola Birra India Pale Ale.

Martin Cornell smentisce (almeno in parte) tutto ciò, poiché:

  • le difficoltà nel trasportare la birra IPA non erano così tragiche (già prima della metà del Settecento). Sicuramente a volte le birre cedevano, ma non era la regola;
  • i produttori avevano compreso la necessità di un “extra hopping” (almeno dal 1760) così da corazzare le proprie partite da esportazione;
  • non c’è nessuna prova che l’idea della birra IPA sia da attribuire a un marchio specifico: Hodgson ebbe un ruolo di primo piano nelle vendite in India, ma non perché la sua Pale Ale fosse migliora delle altre (aveva un grado alcolico di 6,5°, inferiore rispetto alle altre) ma perché la Bow Brewery era più vicino ai moli d’attracco;
  • il conio di IPA compare solo nel 1835 in una pubblicità sul giornale Liverpool Mercury. Prima si usavano perifrasi quali Pale Ale prepared for the East and West India climate.
Birre da Manicomio

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